La vendita degli Ospitalieri di Altopascio di San Giovanni a Sorbolatico (Volterra)

Un bel palazzo degli Ospitalieri di Sant’Iacopo di Altopascio, o cavalieri del Tau, si trovava a Fornelli presso le mura nella parte occidentale di Volterra.
Nel distretto del comune l’Ordine ebbe anche due dipendenze: a Spedaletto in Valdera, presso la via per Pisa, e a San Giovanni di Sorbolatico – del quale si scriverà qui di seguito – vicino al fiume Cecina e a Saline.
Nel 1425 – rammenta il catasto quattrocentesco – fu suo priore frate Giusto di Angelino. Nel 1429-30, al tempo del maestro dell’Ordine Bartolomeo di Bonizo orvietano, venne affittato al volterrano Roberto Minucci; risultava avere anche un mulino di pertinenza, detto del Cavallare alla Quagliera, dichiarato “rotto e ghuasto”.
Nel 1483 San Giovanni di Sorbolatico fu venduto ai Riccobaldi volterrani, come si legge in una lunga pergamena scritta nel castello di Altopascio nella residenza del maestro Guglielmo di Nicola di Bartolomeo dei Capponi da Firenze, protonotario apostolico e, per inciso, personaggio di rilievo per l’amicizia con il card. Giuliano della Rovere, poi papa Giulio II.
Alla presenza dei testimoni ser Angelo di Simone da Pescia, Sandro di Nanni Sandri da Prato spedaliere di Altopascio e di Giovanni de Gubito dei Gubiti de “Alemania” (Germania), “[...] quodam podere sive predium” – si legge nella carta – chiamato volgarmente San Giovanni di Sorbolatico nelle Pendici di Volterra, che “ab antiquo fuit quodam oratorium”, con edifici annessi e “domibus”, da lungo tempo diruto “propter antiqua bella colonum dispersionem, incultum adeo fuit et desertum”, infestato dalle selve e in parte occupato dai vicini, ora non era più di alcuna utilità all’Ordine e rendeva anche poco frumento. Pertanto ne era stata decisa l’alienazione. Già una prima volta, a gennaio, era stato venduto ai figli del fu Gentile di Giovanni di Giusto dei Guidi di Volterra per 700 fiorini d’oro, ma per mancata conferma dell’autorità apostolica, la transazione era decaduta. Ora, la seconda volta, veniva alienato a Carlo figlio di Benedetto di Bartolomeo dei Riccobaldi, procuratore della famiglia con mandato rogato dal notaio ser Biagio di Benedetto Lisci.
(E questa volta la faccenda si concludeva per il meglio).

Nella pergamena si trova una lunga e pregevole descrizione delle proprietà e dei luoghi, oggi rintracciabili con difficoltà sia per la formazione moderna della cittadina di Saline che per lo spopolamento della zona.
Il podere vero e proprio “cum quodam Palazotto “ruinoso” e con casolare, che fu podere, di San Giovanni a Sorbolatico – si scrive – era confinato dall’acqua del fiume Cecina, dalla via che andava a Volterra “ad villam de Celli” e dalla via che dal Poggio della Quaglia continuava per il botro delle Moie a Casiccio e andava per diritto alla via al Santo di Fatagliano e alle terre di Iacopo di Paolo di Giovanni da Volterra; quindi il confine scendeva per il botro La Macchia di Vanni nel Cecina “versus Capresem”.
Tutto ciò risultava da un antico cartolario che il notaio riportava nella supplementare descrizione.

“In primis” ne faceva parte un casolare che un tempo fu chiesa, un casolare vicino che fu “domus”, un terzo casolare con chiostro diruto che fu palazzo, altri due casolari e anche il poggio del Cavallarello. Le terminazioni erano: a mezzogiorno il fiume Cecina; a occidente, iniziando nel piano di Cecina la terra macchiosa di dom. Bernardo del fu dom. Ardingo, e andando sopra la serra al Monte, Olmo e il Poggiarello “domine Quaglie” (la signora Quaglia) fino alla strada pisana, e poi, per la strada, verso la chiesa di San Giovanni. Quindi, dopo le terre di alcuni privati, il confine proseguiva al rivo del Cavallarello e alla via diretta alle moie di Casiccio. A settentrione invece era rappresentato dal botro che scorreva tra Cavallarello e l’ospedale e le moie di Casiccio, dalla via tra il Poggio di Pappiano e il podere del Cavallerello. Andava poi a altre terre di privati, tra cui quella di Gentile Baldinotti a “Corbipenethi et rivus Ricovernidithe” (sic), dove si diceva Castellina, giungendo alla via diretta a San Giovanni di Scornello (oggi Fattorie Inghirami).
Dalla parte di oriente sotto la via e la terra di Ardingo, la proprietà era limitata dalla terra di “Bona Recoverachia” dove si diceva “Alpechoia” fino al botro di Celluna o botro Malvalchi o La Macchia di Vanni che era ai piedi di Poggio Caggio. Poi il botro andava fino alla via verso San Giovanni presso Fatagliano, Poggio di Caggio e Camporese, a delle terre di privati e da qui al fiume Cecina.
La proprietà fu venduta da maestro Gugliemo a Carlo Riccobaldi, riservando all’ospedale di Altopascio sia il diretto dominio che l’utile della moia o fabbrica “aptam ad faciendam salinam”, i diritti su altre moie et “omne generis minerariorum auri, argenti, raminis, aluminis et similia q. deincepes reperientur seu reperiri contingerit in futurum” – sui minerali preziosi che sarebbero stati trovati in futuro ... anche dallo stesso compratore.

Un secondo bel tenimento con altri casolari era oltre il Cecina, pressappoco di fronte a San Giovanni ma nel distretto di Montegemoli. Formato per la maggior parte da bosco, si trovava nella villa di Celli. Era confinato dal podere del Cerreto (esistente), dalla via pubblica che andava da Cerreto alla Villa di Celli, “salvo quod iuxta valicatorium” a Lavaiano. Nelle terre dell’ospedale inoltre transitava un botro che scendeva a meridione presso la terra di Parigi da Celli, e da quella una via pubblica si dirigeva verso Cello (sic, luogo diverso da Celli) e San Giovanni.
Maestro Gugliemo infine vendette un certo numero di terre spezzettate: a Cerbaiola (presso la terra degli uomini del comune di Libbiano), ancora nella villa di Cello, nel piano di Pechia, alle Vigne del Bolgaringa, a Morino presso la strada pubblica – proprietà confinata “cum fovea antiqua terminis lapideus per Serram de Marina” –, a Pietregialle, a Lannodo, a Mortineto, sempre nella villa di Cello presso un maceratoio, in Corte Reggi a confine con La Stacciola, al Poggiarello fino al Cerro, in Piano di Pozori presso il Cecina, a Moiale vicino al botro di Moiale e a una chiesa non nominata, al Palazzo del Prete che fu della signora Beldie da Montegemoli, al Vado, alla Pescaia, e sempre a Cello – si finisce di leggere – nella Rocca e presso la chiesa.
Maestro Gugliemo poi dichiarò di riservare all’ospedale i beni situati dal fiume Zambra verso oriente, quelli di Culizone e di Cavallarello.
Il prezzo pagato dai compratori fu di 900 fiorini d’oro a ragione di lire 4 per fiorino da investire per utilità dell’ospedale e mansione di Altopascio e da depositare per metà presso Bernardo e Niccolaio figli di Nicola dei Capponi e per l’altra metà presso Inghilese del fu Biagino Enghileschi di Piombino mercante che dimorava a Pisa.
Il rogito dell’atto, che in fondo presenta disegnata una bella croce del Tau, fu fatto dal notaio Nanni di Ottaviano dei Contugi.

Confrontando quanto scritto nella pergamena e le carte sette-ottocentesche rimaste negli archivi, si vede che San Giovanni di Sorbolatico non fu non molto lontana dalle case San Lorenzo che oggi sono situate sulla statale 439 Sarzanese Valdera, di fronte a Cerreto che è a sinistra del fiume Cecina.

Paola Ircani Menichini, 26 ottobre 2023.
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